venerdì 22 aprile 2011

Libia: che differenza c’è tra vittime civili e vittime in divisa?


Libia: che differenza c’è tra vittime civili e vittime in divisa?

Libia: che differenza c’è tra vittime civili e vittime in divisa?
ROMA - La professione del giornalista è molto complicata. Lo è per molte ragioni. La più importante è la  responsabilità etica dei suoi pensieri palesati nella scrittura. Pensieri che, nel bene e nel male, vanno a modificare quella che normalmente viene chiamata ‘opinione pubblica’.

La parola ‘opinione’ ha, come molte altre parole un significato diacronico, vale a dire che è mutata con il tempo: in Omero la parola ‘doxa’ ha il significato di ‘gloria’; poi, siccome la gloria è solo ‘apparenza’, assunse quel significato, per poi infine, dato che ciò che appare può avere, a secondo dello sguardo soggettivo, un significato particolare, si trasforma in ‘opinione’. Ad esempio un grande istituto di ricerca sociale, che fa ricerche di opinione si chiama, appunto, Doxa, e ‘indagine doxa’ si traduce immediatamente con ‘indagine di opinione’.
Quindi il giornalista, come dicevamo, veicola, con il proprio pensiero o con la propria credenza, l’opinione altrui. Purtroppo è anche vero che molti, troppi giornalisti, non avendo una valida onestà intellettuale, né un’etica civile, veicolano, consapevolmente, il lettore o lo spettatore televisivo, verso opinioni alle quali neppure lui crede, e lo fa esclusivamente per interessi personali.
Poi ci sono i giornalisti ‘assenti’, cioè quelli che non sono connessi con il proprio pensiero profondo, e quindi fanno del giornalismo un mestiere per tirare a campare, non mettendo mai nulla di proprio in ciò che scrivono. Per capirci sono quelli che “Tizio ha detto quello, caio ha detto quell’altro, ecc.”.  

In realtà, pensandoci bene, ci sono tante tipologie di giornalismo quanti sono i giornalisti stessi. E allora, tornando al discorso sull’etica civile del giornalista, possiamo dire che più un giornalista, con la propria realtà umana e la propria onestà intellettuale, indaga, approfondisce, ricerca la verità più vera, degli accadimenti, più il suo lavoro lo porta a realizzare la propria essenza umana. Realizzazione che non può prescindere da un investimento verso l’altro da sé, e che, nel caso di coloro che utilizzano la parola per indagare la realtà umana, questo investimento significa rendere sapiente e intelligente il lettore.
Usiamo le parole di un grande giornalista, Albert Camus, per chiarire ulteriormente il significato di etica giornalistica: “Ho cercato in particolare di rispettare le parole che scrivevo, giacché, per mezzo di esse, rispettavo coloro che le potevano leggere e che non volevo ingannare”.

Abbiamo fatto questa lunga introduzione, prima di affrontare il problema delle vittime della guerra in Libia, perché in questo caso esprimere una propria opinione sulla giustezza di queste operazioni belliche è difficilissimo: è giusta questa guerra? Era meglio lasciare che una parte della popolazione venisse uccisa pensando che solo un popolo sovrano può cambiare la storia del proprio paese? Oppure era giusto intervenire come è stato fatto?
È quasi impossibile assumere un’idea giusta in questo caso e parlarne sicuri che le parole che scriviamo siano da noi rispettate. Sappiamo molto bene che le intenzionalità coscienti ed inconsce degli attori in gioco che decidono le sorti del popolo libico non son certo pulite. Delle intenzioni di coloro che guidano il nostro paese è meglio sorvolare tanto è palese il loro coinvolgimento con le aziende petrolifere, ma sappiamo anche che i potenti degli altri paesi che stanno attaccando Gheddafi e le sue truppe, non lo fanno certamente solo per salvare esseri umani. Naturalmente parliamo delle vittime di questa guerra per parlare anche di tutte quelle guerre dove le forze di altri paesi invadono un paese sovrano, uccidono i resistenti, mettono al potere persone a loro fedeli ed obbedienti.
Leggiamo anche la nostra Costituzione per trovare eventuali giustificazioni di questa guerra, ma non le troviamo: “ Art. 11 - L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.” Forse non sappiamo leggere ma non ci sembra che ci sia scritto che si può attaccare un paese quando vi è in corso una guerra civile. Inoltre la rapidità col la quale si è intervenuti è veramente sopetta.
E allora, forse, in casi come questi, il giornalista deve saper volgere lo sguardo all’interno di questi drammi umanitari e avvertirne la verità più vera che vada al di là delle parole che sente dire dai politici e dai cosiddetti esperti. Noi vorremmo farlo dall’angolazione che caratterizza questa nostra rubrica ‘Cronache dal sottosuolo’: l’approfondimento psicologico degli accadimenti.
E partiamo subito con la solita domanda: perché un essere umano uccide un essere umano? Ci facciamo questa domanda perché, i media, senza quasi nessuno escluso, in questa guerra contro, il Libano fanno una differenza tra le ‘vittime’ civili e i ‘morti’ che indossano la divisa delle truppe fedeli a Gheddafi. Abbiamo messo le virgolette sulle parole ‘vittime’ e ‘morti’, perché è in questo modo che vengono nominati gli esseri umani deceduti per questo conflitto, dando in questo modo un diverso peso semantico alle persone senza vita che si vedono nei telegiornali e sulle foto dei giornali. Possiamo fare l’errore di pensare che tutti coloro che stanno dalla parte del dittatore libico siano i cattivi e quelli che stanno dall’atra parte siano i buoni? Evidentemente non possiamo essere così ciechi. Quindi se pensiamo che i morti delle due fazioni siano tutti vittime, dobbiamo anche pensare che coloro che li hanno assassinati sono carnefici. E quindi dobbiamo tornare alla domanda iniziale che chiedeva perché un essere umano uccide un essere umano.
Mettendo da parte un attimo la tragedia degli esseri umani che moriranno perché le ‘bombe intelligenti’ falliscono i bersagli, e che, per nascondere l’orrore, verranno chiamate non vittime ma “effetti collaterali”, parliamo dei morti uccisi coscientemente dalle truppe che si fronteggiano.

Se un essere umano, premendo un pulsante, sa di uccidere esseri umani, a meno che non lo faccia per difendere la propria vita, è un omicida perché uccide uomini. Ma, come sappiamo, per gli aviatori che premono i pulsanti fatali sui cieli libici, quelli che debbono colpire non sono ‘esseri umani’ ma ‘bersagli’. Coloro che guidano i caccia e i bombardieri, o che sparano con i cannoni, hanno fatto esperienza bellica davanti a computer che riproducono come in una fiction la realtà della guerra. E per loro la guerra, quella vera, non è altro che un adrenalinico war games, e le vittime dei loro atti omicidi sono solo rappresentazioni elettroniche.
Ecco come si può uccidere un essere umano come se niente fosse: prima si deve cambiargli senso. Il pensiero delirante, che altera la percezione, è “Colui che io uccido appare come un essere umano, sembra un essere umano, ma in effetti non lo è, perché in realtà è un nemico, è un bersaglio, è una sagoma inanimata”.
Anche i nazisti non parlavano di campi di concentramento e di sterminio degli ebrei ma usavano eufemismi tipo, ‘campi di lavoro’ e ‘soluzione finale’. Tra dieci o vent’anni ci troveremo anche noi come i tedeschi a chiederci per anni “come è potuto accadere’ e qualcuno ci dirà ancora che la violenza è insita nella natura umana magari parlando in modo delirante di peccato originale e di natura umana perversa.
Ora, dato che sono i moventi  psichici non coscienti che spingono gli esseri umani ai comportamenti, noi dobbiamo capire quali sono e perché essi fanno certe cose e non ne fanno delle altre. Ad esempio moltissimi italiani votano Berlusconi perché credono che egli è una specie di salvatore della patria. E abbiamo usato il verbo ‘credere’ e non ‘pensare’ non a caso perché  il pensare è una forma attiva del pensiero mentre il credere è una forma passiva: il pensiero non è tale se non indaga la realtà per cercare la verità sempre più profonda e invisibile, ovvero il contenuto del contenuto; la credenza invece si ferma all’apparenza e paralizza il pensiero il quale non può che produrre che forme piatte e cristallizzate nel tempo.
Prima abbiamo utilizzato un’espressione verbale appartenente al lessico psichiatrico, ‘pensiero delirante’, perché, per conoscere le motivazioni inconsce che spingono all’omicidio, dobbiamo scomodare la psichiatria e parlare di ‘percezione delirante’ e di ‘pulsione di annullamento’.

Per cercare di spiegare il significato di questi due concetti, che insieme a ‘Fantasia di sparizione’ sono i cardini della ‘Teoria della nascita’ dello psichiatra Massimo Fagioli, proviamo a leggere un suo articolo, pubblicato nel ’62 e ripubblicato, nel 2009, nella rivista di psichiatria e psicoterapia ‘Il sogno della farfalla’.
La ‘percezione delirante’ che altera non l’oggetto percepito ma il senso che noi diamo all’oggetto è una: “Percezione nuova per: a) aumento di significati secondari per aggiunta di quelli deliranti che b) vengono percepiti nella vivezza immediata in cui la percezione è vissuta”. Ci rendiamo conto che ciò che stiamo scrivendo potrebbe non essere molto chiaro per i non addetti ai lavori, però se applichiamo questi concetti a ciò che sta accadendo in Libia forse riusciamo a farci intendere. I militari della Nato che uccidono con le bombe i militari libici, percepiscono questi esseri umani in modo delirante in quanto, nell’istante della percezione, danno “significati secondari” al loro omicidio, altrimenti non potrebbero uccidere un essere umano. Tutto questo accade ne “l’immediatezza sincretica della percezione con coscienza del significato” ; vale a dire che la visione viene alterata da un pensiero delirante che si forma nell’istante della percezione: “l’immediatezza sincretica”.

Tutto questo, pur non essendo natura umana ma un disturbo del pensiero, diventa congruo in questa nostra società e viene legittimato dalle leggi di questa società.
In questi giorni è stato pubblicato in Germania, in lingua tedesca, il capolavoro teorico di Massimo Fagioli ‘Istinto di morte e conoscenza’. In questo suo primo libro, pubblicato la prima volta in Italia nel 1970, egli ha svelato l’origine della malattia mentale: la pulsione di annullamento. Secondo la psichiatra tedesca Hannelore Homberg, la scoperta della pulsione di annullamento da “risposte inedite ai tanti che in Germania fanno ancora i conti con l’enorme problema del nazismo. Le radici pulsionali dell’anaffettività scoperte da Fagioli potrebbero dare una risposta estremamente importante e innovativa alla loro domanda ‘come è potuto accadere’, evitando però – conclude la psichiatra - ogni pessimismo su una natura umana sempre pensata come necessariamente malvagia ed aggressiva”.

La Homberg quindi afferma che i tragici avvenimenti della shoah, che continuano a segnare intere generazioni di tedeschi, ancora angosciati dai sensi di colpa e dal terrore di un ‘eterno ritorno’ di tanta violenza distruttiva, possono essere spiegati solo se si utilizza come chiave ciò che Fagioli ha chiamato “pulsione d’annullamento” e che  descrive come “un far sparire l’altro interiormente”, come fanno i bambini quando chiudono gli occhi per far sparire qualcuno, facendo un “uso negativo delle capacità visive.”

Ci sembra, a questo punto, abbastanza chiaro che, per poter far violenza o uccidere l’altro da sé lo si debba prima spogliare del senso dell’umano e  attribuirgli attraverso la ‘percezione delirante’ un altro significato. I tedeschi percepivano gli ebrei come esseri deformi per esempio. Solo in questo modo si può fare la differenza tra vittime civili e militari: percependoli in modo diverso.
Noi non sappiamo se questa guerra può essere giustificata. Da giornalisti, che non si fermano alla superficie delle cose, ma tentano di dare un senso reale a questa vicenda drammatica, possiamo informarvi che, nonostante ciò che ci viene detto dai media,  i libici, governativi e ribelli sono tutti esseri umani, e se divengono vittime significa che c’è un carnefice che non si può nascondere dietro una divisa che togliendogli l’identità umana lo deresponsabilizza dei suoi atti: anche i nazisti al processo di Norimberga affermarono che, essendo militari, avevano semplicemente eseguito degli ordini.
A Gheddafi hanno piò volte cambiato il significato del suo essere: divinizzato dagli occidentali come un papa, tanto che qualcuno è arrivato a baciargli la mano, fino a pochissimi giorni fa, ora è diventato il nemico pubblico numero uno e percepito come tale.

Per coloro che non cambiano in modo delinquenziale e con furbizia opinione ogni giorno a secondo come tira il vento, e non hanno la cataratta della percezione delirante, Gheddafi è sempre stato un criminale protetto dalle industrie petrolifere e dai loro complici politici. Il governo italiano, principale alleato di questo criminale megalomane e pazzo – parliamo di Gheddafi - lo pagava per impedire gli imbarchi, e continuava a pagarlo anche dopo che erano stati documentati i metodi disumani e criminali che venivano impiegati con coloro che venivano respinti dalle nostre leggi razziste.
Bastava guardare e pensare anziché annullare e credere … in modo delirante.

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