domenica 10 aprile 2011

Allarme Veleni per la verde umbria


di Valerio Ceva Grimaldi
UMBRIA A pochi chilometri dalla città due stabilimenti producono il 9% del cemento del Belpaese. Un'analisi svela la presenza di metalli pesanti e diossine. E c’è chi vorrebbe bruciare qui anche i rifiuti

Venticinque chili all’anno di nichel, 84 di cromo, 45 di rame, 11 di cadmio. E ancora: 4 chili di idrocarburi policiclici aromatici, mezza tonnellata di piombo e 12 tonnellate di polveri. Questa è la storia di un cocktail venefico di metalli pesanti e sostanze chimiche che si accumulano nell’aria e che contaminano i terreni nei dintorni di un grande cementificio. Non stiamo raccontando l’ennesima tragedia ambientale della vituperata Campania, né della velenosissima Ilva di Taranto, tantomeno dell’arcinota Marghera. Siamo, nel cuore verde d’Italia, l’Umbria. Più precisamente nei pressi di Gubbio, deliziosa cittadina in provincia di Perugia. Un centro storico di antichi palazzi, porte e archi medievali, dolci paesaggi collinari e boscosi, a nord del capoluogo. Qui, a pochi chilometri dal centro cittadino, sorgono da anni due grandi cementifici: da questi stabilimenti esce il 9% dell’intera produzione di cemento di tutto il nostro Paese. E, intanto, tutt’intorno si accumulano nell’aria, e poi sul suolo, anche i quantitativi d’inquinanti descritti all’inizio. Tali quantità sono state analizzate e rese note dal biologo Gianni Tamino in base alle emissioni giornaliere certificate, calcolando i milligrammi per metro cubo di fumi provenienti da uno dei due cementifici eugubini e tenendo presente che in un’ora vengono emessi 450 mila metri cubi di fumi ( fonte: Arpa).

Ora alcune forze politiche (bipartisan: nel 2008 il Pd e, più di recente, l’Udc) vorrebbero, paventando per l’Umbria un 2012 di precrisi rifiuti per il progressivo esaurimento delle discariche e i non brillanti risultati della differenziata, riaprire le porte dei cementifici per incenerire i rifiuti. Un affare per gli imprenditori, che realizzano profitti più alti, ma non per la salute dei cittadini: i limiti di emissione per questi impianti, infatti, sono molto più alti rispetto a quelli restrittivi previsti per gli inceneritori. Rischio che s’annida nelle pieghe del burocratese dei provvedimenti dell’amministrazione regionale. Lo spiega bene Giovanni Vantaggi, medico di base in pensione da pochi mesi e candidato a sindaco con una lista civica: nel programma di “Un’altra Gubbio”, infatti, denuncia che «nell’espressione generica “valorizzazione energetica” della quota residua del 35% dei rifiuti ottenuta dalla raccolta differenziata», si rischia di trovare inclusa la soluzione di bruciare i rifiuti nei cementifici (in Umbria sono 3: due a Gubbio e uno a Spoleto).

Ma quanto inquina un cementificio? Gian Paolo Bozzo, nel 2005 direttore del dipartimento provinciale dell’Arpa Veneto, in un convegno lo spiegò così: «Un cementificio produce tanto Pm10 quanto 300.000 auto e gli stessi ossidi d’azoto di 180.000 veicoli che in un anno fanno 10.000 chilometri ». Vantaggi da tempo conduce una lotta quasi in solitudine per denunciare le ricadute ambientali e sanitarie legate alle emissioni di una tale quantità d’inquinanti. Che, autorizzando l’incenerimento dei rifiuti nei cementifici, rischiano d’aumentare in modo rilevante. Certo, si può rimanere formalmente nei limiti di legge: è pe rò, avverte il medico, l’accumulo di queste sostanze negli anni a trasformarsi in un problema per chi vive da molto tempo in queste zone. E così ecco che un territorio considerato tra i più incontaminati d’Italia svela il suo lato più inquietante: in una casistica personale elaborata su 1550 assistiti Vantaggi, raffrontando i dati del Registro tumori della popolazione umbra, capitolo “Incidenza del cancro in Umbria tra il 2006 e il 2008”, rivela che nel periodo 2007-2010 tra i suoi ex assistiti si sono verificati 16,2 casi di tumore\anno.

Nel 2000-2006 erano 9,6: nel 1993- 1999 appena 7. Inoltre, in uno studio voluto e finanziato dalla Provincia di Perugia effettuato tra il 2001 e il 2004, basato sul biomonitoraggio di api e licheni, sono stati trovati valori elevati di piombo, cadmio, arsenico e benzo(a)pirene. Chissà che non basti a dissuadere chi, ancor oggi, paventando crisi rifiuti che invece potrebbero essere risolte potenziando la raccolta differenziata porta a porta e stimolando un ciclo ecovirtuoso, chiede che si torni a bruciare rifiuti nei cementifici. I colossi del cemento, intanto, aspettano.

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